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Il lavoro al tempo del digitale: sfide e opportunità

 
31 Gennaio 2020

Il lavoro al tempo del digitale: sfide e opportunità

Nel rapporto del Joint Research Centre della Commissione europea i fondamenti di lettura per le nuove forme di lavoro

Chiarito che le tecnologie digitali influiscono maggiormente sui compiti che sull’occupazione e accertato che le competenze digitali e non cognitive rappresentano i pilastri della necessaria riconfigurazione delle esigenze formative ed educative dei lavoratori, nel proseguire l’analisi del rapporto “The changing nature of work and skills in the digital age” elaborato dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea si pone il tema delle nuove forme di lavoro e delle sfide e opportunità competitive del sistema produttivo europeo. 

La disaggregazione del lavoro in compiti specifici sta avvenendo in tutti gli Stati membri dell’Unione, a vari livelli. La tecnologia facilita chiaramente la diffusione di nuove forme di lavoro, offre incentivi ai datori di lavoro e consente ai lavoratori di operare in remoto più che mai, permettendo alle aziende di adottare un approccio più agile e una struttura organizzativa più flessibile. Un esempio in questo senso è quello connesso al progetto VeLa, un’esperienza di collaborazione tra amministrazioni finalizzata allo sviluppo di un kit di riuso per lo smart working realizzata nell’ambito del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020.
Nel frattempo le piattaforme digitali consentono di raggiungere contemporaneamente numerosi lavoratori, offrendo opportunità a molte categorie professionali: dai liberi professionisti agli esperti di tecnologia, dai dipendenti pubblici ai tassisti. Quindi, se da un lato nuove forme di occupazione come lavoro occasionale, lavoro mobile basato sulle TIC e nuove forme di lavoro autonomo abilitate dal digitale stanno guadagnando terreno in tutta Europa offrendo nuovi scenari alle aziende, oltre che ai lavoratori, dall’altro la frammentazione, la flessibilità e la dinamica di regolamentazione disegnano nuove dimensioni di responsabilità per i policy makers, oltre che per il mercato stesso. In questa lettura multidimensionale risiedono le sfide e le opportunità per il futuro del lavoro al tempo del digitale disegnate nel Rapporto analizzato e che, di seguito, proveremo a sintetizzare.

Le sfide

Nell’Unione europea le forme di lavoro atipiche sono in aumento da qualche tempo. Mentre la maggior parte dei lavoratori nell’UE ha ancora contratti a tempo pieno e indeterminato, gli ultimi due decenni hanno visto un marcato spostamento verso forme alternative di occupazione. Dal 2001, il numero di lavoratori part-time e temporanei è cresciuto di oltre il 30 per cento. Nel 2017 rappresentavano rispettivamente quasi il 20% e il 12% dell’occupazione totale nell’Unione. La percentuale di lavoratori autonomi è rimasta abbastanza costante (circa il 14%), ma il numero di lavoratori autonomi senza dipendenti (vale a dire lavoratori per conto proprio) è aumentato in modo significativo tra il 2001 e il 2017 (+13%). Ciò significa che, al netto delle opportunità offerte, la trasformazione digitale comporta anche nuove sfide politiche. Le TIC contribuiscono a creare incentivi per le imprese nel generare lavoro, ma anche ad alimentare il rischio di un lavoro più simile ad una transazione verso compiti ben definiti e di scopo. Come si legge nel Rapporto del JRC, infatti, “i segni di una crescente frammentazione del lavoro sono già visibili nell’UE: non solo si assiste a numero crescente di lavoratori delle piattaforme digitali, ma anche ad un declino del lavoro e delle ore lavorative”. Ciò significa che la tecnologia genera una maggiore standardizzazione del lavoro, facilitando da un lato l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e dall’altro riducendo i costi.  Ciò offre ai datori di lavoro incentivi a contrarre fuori da una struttura di costi fissi, consentendo al contempo ai lavoratori di lavorare in remoto, sia come dipendenti che come liberi professionisti. È evidente che tale modello crea delle sfide soprattutto in termini di stabilità, di ore lavorate e di diritti. Se a questo si associa una poco chiara regolamentazione di alcune forme emergenti di lavoro, risulta evidente che gli spazi per una errata classificazione dei rapporti di lavoro resta ancora molto ampia e che le forme di flessibilità e di opportunità offerte dalle tecnologie rischiano spesso di trasformarsi in elementi di debolezza dell’intero sistema sociale e produttivo.

Le opportunità

Uno degli esempi più significativi di nuove forme e opportunità spinte dalle tecnologie è il lavoro mediato dalle piattaforme digitali. Nonostante questa nuova tipologia di lavoro rappresenti una parte quantitativamente ancora piccola del mercato del lavoro europeo, essa assume una grande rilevanza soprattutto per l’elevata capacità di attrarre giovani e lavoratori altamente istruiti.  I dati del Rapporto JRC evidenziano che circa l’11% della popolazione europea in età lavorativa (16-74 anni) ha fornito servizi tramite piattaforme online almeno una volta, rispetto al 9,5% nel 2017. Tuttavia, fornire servizi di lavoro mediati dalle piattaforme digitali è l’attività lavorativa principale solo per una piccola parte della popolazione. Nel 2018, metà dei lavoratori delle piattaforme ha fornito servizi su base sporadica (2,4%) o marginale (3,1%), mentre un altro 4,1% della popolazione in età lavorativa ha fornito servizi di lavoro tramite piattaforme come lavoro secondario. Solo l’1,4% della popolazione in età lavorativa ha fornito servizi di lavoro mediati da piattaforme come principale attività lavorativa. 
Dal punto di vista dell’età e dell’istruzione, i dati evidenziano che i lavoratori delle piattaforme hanno un’età media appena inferiore ai 34 anni, mentre circa il 60% di coloro che lavorano per le piattaforme come loro attività principale hanno almeno un’istruzione terziaria. Le condizioni di lavoro per questi lavoratori variano notevolmente a seconda della tipologia di lavoro prestato, della sua intensità e frequenza.  Ad esempio, i lavoratori che forniscono prevalentemente servizi professionali sono in genere meglio retribuiti rispetto ad altri, anche se sono soggetti ad una maggiore probabilità di soffrire lo stress. Al contrario, lavoratori non professionisti delle piattaforme online sperimentano meno stress, ma hanno maggiori probabilità di ottenere una retribuzione inferiore e presentano opportunità di apprendimento limitate. 
Esistono, infine, differenze significative tra gli Stati membri dell’UE nella portata e nella natura del lavoro mediato dalle piattaforme. Tra i 16 Stati membri dell’UE intervistati, la percentuale più elevata di lavoratori che forniscono servizi attraverso piattaforme digitali si trova in Spagna (18%), seguita da Paesi Bassi (14%) e Portogallo (13%). Altri paesi con quote di lavoro superiori alla media sono Irlanda, Regno Unito e Germania. L’Italia si attesta in una fascia intermedia (8,8%), con un valore al di sotto della media europea. Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, invece, registrato i valori più bassi in assoluto.

Il modello di impatto

I numeri presentati e gli scenari sinteticamente delineati rappresentano un chiaro esempio di come la trasformazione digitale può offrire nuove opportunità, creando tuttavia un perimetro di sfide piuttosto complesso. 
A seconda di come tali opportunità vengono colte e di come le sfide vengo affrontate mediante i diversi interventi di policy, il modello di impatto che ne deriva può dare esito ad un sistema produttivo ed occupazionale più o meno polarizzato, ad un cambiamento più o meno strutturale del mercato del lavoro e ad una riduzione o meno delle disparità territoriali sia fra Stati, sia fra territori all’interno di uno stesso Stato. 
L’ultimo focus sul Rapporto elaborato dal Joint Research Centre (JRC) sarà dedicato proprio al tema dello studio sui modelli di cambiamento professionale nelle regioni dell’Unione europea negli ultimi quindici anni e al tema delle disparità territoriali.  

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