Nell’analizzare il quadro trasformativo del lavoro descritto all’interno del rapporto “The changing nature of work and skills in the digital age” elaborato dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea, nello scorso approfondimento avevamo evidenziato come le tecnologie digitali influiscano più sui compiti che sull’occupazione. In questo senso era emerso in modo piuttosto evidente come la riconfigurazione dei posti di lavoro, dovuta alle nuove tecnologie, impatti direttamente (o indirettamente) sull’adattamento, lo spostamento e la modifica dei ruoli e, quindi, delle competenze e delle conoscenze dei lavoratori. L’interrogativo lasciato in sospeso e a cui dare risposta, dunque, era proprio relativo alla metamorfosi delle competenze e alla configurazione delle nuove esigenze formative ed educative. In altri termini la domanda da porsi è la seguente: come cambia il fabbisogno formativo e il profilo di competenze di un lavoratore nell’era del digitale? Continuando nella lettura e nell’analisi del Rapporto del JRC, proviamo di seguito a dare alcuni spunti di risposta e riflessione.
Secondo il Joint Research Centre è evidente ormai che, per effetto delle tecnologie digitali, i sistemi di istruzione hanno bisogno di adattarsi alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più orientato ad una combinazione di competenze digitali, abbinate a forti abilità non cognitive. Come si legge nel Rapporto, “l’importanza crescente delle competenze digitali e non cognitive si riflette nell’aumentare delle differenze salariali tra i lavoratori dotati di tali competenze e quelli che non lo sono”. Solo guardando, dunque, ad entrambe le componenti è possibile comprendere il nuovo scenario di metamorfosi del mondo del lavoro.
Secondo la Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, “la competenza digitale presuppone l’interesse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza e spirito critico e responsabile per apprendere, lavorare e partecipare alla società. Essa comprende l’alfabetizzazione informatica e digitale, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione mediatica, la creazione di contenuti digitali (inclusa la programmazione), la sicurezza (compreso l’essere a proprio agio nel mondo digitale e possedere competenze relative alla cibersicurezza), le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico”. I dati contenuti nel Rapporto fanno emergere ancora una forte carenza di competenze digitali a livello europeo: un terzo della forza lavoro dell’Unione europea di fatto non ha nessuna (o quasi nessuna) competenza digitale. Al contempo anche i datori di lavoro nell’Unione europea segnalano che un gran numero di lavoratori non è pronto a rispondere alla crescente domanda di competenze digitali. La conseguenza è che molti lavoratori e molte aziende dell’Unione europea rischiano di non trarre pieno vantaggio dalle opportunità emergenti nell’economia digitale e, dunque, di non farsi trovare pronti al mutamento di scenario. Anche la Pubblica Amministrazione potrebbe trovarsi di fronte alle medesime criticità o, peggio ancora, potrebbe diventare essa stessa una barriera all’ingresso verso l’economia digitale. Per questo motivo negli ultimi anni sembra essere maturata in modo rilevante la consapevolezza di una nuova centralità degli investimenti finalizzati al cambiamento e all’innovazione pubblica, compreso il rafforzamento delle competenze digitali di base dei dipendenti pubblici. Il progetto “competenze digitali” messo in campo dal Dipartimento della Funzione Pubblica è un esempio in questa direzione.
Al pari di quelle digitali, anche le cosiddette competenze non cognitive sembrano assumere una rilevanza sempre più importante per il mercato del lavoro. Si tratta di quelle competenze definite anche come soft skills e non direttamente collegate al processamento delle informazioni, ma alle caratteristiche individuali relative agli ambiti emotivi, psicosociali e della personalità. Fra le più note soft skills vi sono le caratteristiche di autonomia, flessibilità, adattabilità, fiducia in sé stessi, resistenza allo stress, capacità di pianificazione e organizzazione, attenzione ai dettagli, apprendimento continuo, gestione delle informazioni, capacità comunicativa e di conseguimento degli obiettivi, spirito di iniziativa, leadership, problem solving e team work. Tutti fattori che, secondo le analisi riportate dal Joint Research Centre della Commissione europea, saranno dirimenti in una società sempre più dominata da tecnologie e algoritmi.
Secondo quanto contenuto nel Rapporto del JRC, dunque, i lavoratori avranno bisogno di abilità non cognitive per far fronte a un mondo del lavoro in continua evoluzione. Per questo è sempre più importante che, oltre alla conoscenza e alla capacità di processamento di dati e informazioni, le persone acquisiscano competenze che li aiutino ad anticipare i cambiamenti e a diventare più flessibili e resilienti. Per i lavoratori scarsamente qualificati, invece, in futuro sarà più difficile un collocamento sul mercato del lavoro senza una nuova specializzazione o riqualificazione, anche e soprattutto sul versante delle soft skills. Per questo motivo, a fronte del fatto che ancora oggi l’insegnamento delle abilità non cognitive sembra essere stato abbastanza trascurato (o quantomeno sottovalutato) in tutta l’Unione europea, il Rapporto delinea una evidente e incalzante necessità evolutiva dei sistemi di istruzione in questa direzione. In altri termini l’imperativo è quello di fornire risposte adeguate alle nuove domande di competenze mediante sistemi di istruzione che dovrebbero evolversi in modo puntuale verso la giusta combinazione fra competenze digitali, diffusione delle conoscenze e competenze non cognitive. Tali abilità aiuterebbero le persone ad anticipare i cambiamenti e ad essere più creative e resilienti. L’acquisizione della conoscenza solo attraverso l’educazione formale non sarà più sufficiente in un contesto di costante metamorfosi, (spinta anche dall’impatto delle tecnologie digitali) e avrà bisogno di un’azione di apprendimento permanente in grado di incidere sulla strutturazione dell’offerta. Gli europei, insomma, dovranno imparare durante tutta la loro vita, sia all’interno che all’esterno dell’istruzione formale. Nel corso del prossimo approfondimento vedremo come questo approccio trasversale abbia una rilevante capacità di incidere tanto sullo scenario evolutivo delle nuove forme di lavoro quanto sulle opportunità e le sfide europee in termini di competitività del sistema produttivo.