Analisi e scenari del rapporto pubblicato dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea.
I cambiamenti della natura del lavoro e delle competenze nell’era digitale rappresentano una delle questioni più rilevanti e discusse nell’attuale dibattito relativo alle politiche pubbliche e al rafforzamento delle organizzazioni pubbliche. La rivoluzione tecnologica, di fatto, ha attivato trasformazioni significative i cui effetti sono oggi solo in parte noti: alcune mansioni rischiano di scomparire, altre hanno subìto profonde metamorfosi e altre ancora, prima inesistenti, hanno fatto la loro comparsa affermandosi in modo primario sulla scena delle professioni.
Tuttavia, nonostante il proliferare di una vasta quantità di letteratura scientifica e grigia sull’argomento, la base conoscitiva a supporto dei decisori pubblici risulta ancora piuttosto carente ed incompleta. Ciò a partire dagli impatti della trasformazione (digitale e culturale) sul versante delle competenze, prima che su quello delle professioni. Ne sono riprova l’ancora poco affermata visione di convivenza fra le opportunità offerte dalla tecnologia e le sfide (e crisi) emergenti che essa pone, così come la scarsa consapevolezza di una maggiore influenza anzitutto sui compiti, prima che sugli aspetti prettamente occupazionali. Per supportare la conoscenza di tale quadro trasformativo, il Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea ha pubblicato un rapporto dal titolo “The changing nature of work and skills in the digital age”.
Reso disponibile ad agosto 2019, il Rapporto costituisce una sintesi delle più recenti evidenze scientifiche in materia, unita ad una azione di ricerca condotta direttamente dal servizio scientifico della Commissione europea su questioni non ancora approfondite: dall’interazione fra automazione e organizzazione del lavoro, alla trasformazione della natura del lavoro, fino al disegno dei possibili schemi relativi ai cambiamenti professionali all’interno delle diverse regioni dell’Unione europea. Nello specifico il Rapporto affronta quattro aree di indagine: l’impatto della tecnologia sul tema occupazionale; la trasformazione della domanda di competenze e, dunque, dei potenziali scenari di strutturazione dell’offerta; le opportunità e le sfide a livello europeo; i modelli di cambiamento professionale e di disparità territoriale nelle regioni dell’Unione europea negli ultimi quindici anni. Di seguito affronteremo la prima area relativa all’impatto della tecnologia. Nei successivi approfondimenti, invece, saranno esaminate le restanti aree di indagine del Rapporto, con particolare riferimento all’impatto su abilità e competenze e all’analisi dei cambiamenti degli ultimi quindici anni in Europa.
La visione conflittuale fra tecnologia e occupazione è forse il tema storico più controverso e noto, tanto alla comunità scientifica quanto all’opinione pubblica in generale. Un tema che, senza voler richiamare concezioni luddiste, ad ogni cambiamento di paradigma tecnologico alimenta un dibattito serrato fra visioni distruttive e visioni trasformative. In questo senso il Rapporto del JRC riassume le stime più recenti sulla creazione e la distruzione di posti di lavoro indotti dalle nuove tecnologie e fornisce nuovi elementi di valutazione sul ruolo organizzativo nel plasmare l’effetto delle tecnologie sui mercati del lavoro. In questo senso il Rapporto evidenzia che le tecnologie digitali influiscono più sui compiti che sull’occupazione: esse non si limitano a creare o distruggere posti di lavoro, ma cambiano ciò che le persone fanno e, soprattutto, come lo fanno. I profili occupazionali stanno mutando in modo sostanziale per effetto di quel criterio di addizionalità o di trasformazione delle mansioni che richiedono sempre più ai lavoratori (e alle stesse organizzazioni) di adattarsi a nuovi metodi, nuovi strumenti e nuove culture organizzative. Ciò determina uno spostamento delle strutture occupazionali che portano alla polarizzazione dell’occupazione e dei salari e, dunque, anche a possibili diseguaglianze.
È inevitabile che i lavori maggiormente esposti all’automazione, alla scarsa interazione sociale complessa e alla routine, con livelli relativamente bassi di istruzione formale, risultino più esposti alla trasformazione. Al contempo è altrettanto evidente, secondo lo studio della Commissione europea, che i posti di lavoro a maggiore crescita nell’UE-28 entro il 2030 saranno quelli che richiedono un’istruzione superiore, un uso intensivo delle abilità sociali e interpretative e almeno una conoscenza di base delle TIC. I nuovi posti di lavoro legati allo sviluppo, alla manutenzione e all’aggiornamento delle tecnologie di intelligenza artificiale (AI) e delle infrastrutture di big data, ad esempio, assumeranno un’importanza qualitativa e quantitativa crescente. Allo stesso tempo nuove tecnologie come la robotica o la stessa intelligenza artificiale avranno un impatto forte e di ampio respiro su natura delle competenze e organizzazione del lavoro. Proprio per questo motivo la governance e la capacitazione di organizzazioni pubbliche e private assume fin da subito una rilevanza sempre maggiore, così come l’organizzazione del lavoro – centrata sull’uomo – può essere ormai considerata l’ultima barriera all’automazione diffusa. Porre al centro attributi chiave del lavoro umano quali la creatività, la piena autonomia e la relazionalità sembra delinearsi come il vero punto di equilibrio della trasformazione in atto. Per questo motivo, secondo quanto scritto nel Rapporto, qualsiasi riconfigurazione di posti di lavoro dovuta alle nuove tecnologie comporterà l’adattamento, lo spostamento e la modifica dei ruoli e, quindi, delle competenze e delle conoscenze dei lavoratori. Nessuna visione luddista, dunque, bensì uno scenario di metamorfosi che pone al centro una domanda chiave: quali sono le implicazioni di questi cambiamenti in termini di competenze ed educazione?
Nel prossimo approfondimento proveremo ad analizzare le possibili risposte al quesito contenute nel Rapporto del Joint Research Centre.
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