Tra qualche settimana le “Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni“ emanate da AgID nel maggio 2019 con l’obiettivo di lanciare un forte segnale introducendo, o meglio, perfezionando quello che era la gestione del software in ambito pubblico, compiranno due anni.
Il documento stabilisce le condizioni secondo cui le PA, titolari di soluzioni e programmi informatici, hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato con licenza aperta, in riuso gratuito ad altre amministrazioni e alla collettività.
Questo incipit promuove un cambio culturale verso un più ampio utilizzo del software facendo sì che gli investimenti e le innovazioni di una PA siano messe a fattor comune delle altre amministrazioni e della collettività e consentendo di semplificare le scelte di acquisto e gli investimenti in tema di servizi digitali.
Il “riuso” di un software, ovvero il suo utilizzo in un contesto diverso da quello per cui è stato originariamente sviluppato, rappresenta un punto di partenza per la creazione di un sistema virtuoso “win-win” sia per le Amministrazioni che per i cittadini che di riflesso beneficeranno delle buone pratiche implementate.
In questo processo di trasformazione digitale, è essenziale che i servizi abbiano un chiaro valore per l’utente; questo obiettivo richiede un approccio multidisciplinare nell’adozione di metodologie e tecniche interoperabili per la progettazione di un servizio.
Le Linee guida AgID stabiliscono, inoltre, che le soluzioni sviluppate e rese riusabili dalla PA siano pubblicate con licenza open source in una piattaforma pubblicamente accessibile e inserita nel Catalogo nazionale dei software open source della Pubblica amministrazione di Developers Italia.
Questo semplifica notevolmente il lavoro delle Amministrazioni, che possono consultare il catalogo scegliendo tra software già esistenti, invece di svilupparne di nuovi, riducendo così tempi e costi di lavorazione e rappresenta un notevole passo avanti, dal punto di vista culturale, verso una logica per cui gli investimenti delle amministrazioni devono essere messi a fattor comune e per cui si dà la precedenza a soluzioni già esistenti.
Grazie a questo modello collaborativo, la PA può beneficiare di servizi digitali già testati, sicuri, integrati con le piattaforme abilitanti e più coerenti tra di loro. Vantaggi resi possibili dal fatto che tutti i software sono messi a disposizione con licenza open source, come previsto dall’art.69 del Codice dell’Amministrazione Digitale. Il libero riutilizzo da parte di altre PA viene quindi incentivato e agevolato.
Dal sito di Developers Italia emergono alcuni dati importanti ad oggi:
- sono 181 in totale i software presenti nel Catalogo nazionale dei software open source della Pubblica Amministrazione;
- 52 le Amministrazioni con almeno un software in catalogo;
- l’89% dei software presenti sono messi a riuso;
- il 64% dei software sono riutilizzati da almeno una PA;
- 1.741 Amministrazioni hanno utilizzato uno dei software disponibili sul catalogo.
Tra i software presenti nel Catalogo troviamo SIGeSS, il Sistema Informativo per la Gestione dei Servizi Sociali finanziato dal PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 con l’obiettivo di migliorare la capacità di programmazione degli interventi di welfare territoriale incrementando la qualità dei servizi per i cittadini, attraverso il riuso di buone pratiche tra Pubbliche Amministrazioni.
Nell’ottica di rafforzare gli strumenti a disposizione dei cittadini, Roma Capitale ha sviluppato un sistema per la digitalizzazione e il miglioramento dell’erogazione dei servizi sociali di quindici Municipi capitolini sulla base del riuso di un modello di partenza, il “S.I.SO”, utilizzato con successo dalla Regione Umbria.
In questa cornice di grande collaborazione tra PA si inserisce anche il progetto VeLA – Smart Working per la PA, un’esperienza finalizzata allo sviluppo di un Kit di riuso per lo smart working.
La buona pratica di partenza in questo caso era TelePAT 2.0, una misura organizzativa introdotta dalla Provincia Autonoma di Trento per rispondere alle necessità di miglioramento organizzativo dell’amministrazione e di aumento dell’efficienza, al fine di ridurre i costi di gestione, valorizzare la conciliazione famiglia-lavoro, migliorare la diffusione dell’ICT, valorizzare il territorio e l’ambiente.
L’esperienza si è articolata grazie a una forte interazione tra nove amministrazioni e ha permesso di costruire un modello applicabile ad amministrazioni diverse adattabile secondo le esigenze della PA riusante.
Il tema del software open source e del riuso di software evidenzia un trend positivo nonostante alcuni ritardi sistematici; per la Pubblica amministrazione è fondamentale proseguire questo percorso di digitalizzazione creando un rapporto virtuoso di partenariato tra pubblico e privato.
Sul tema dell’open source il Piano Triennale 2020-2022 per l’Informatica nella PA ha rafforzato questo concetto, elencando esplicitamente alcune azioni, con l’obiettivo di consolidare le buone pratiche del riuso di software e della pubblicazione del codice prodotto in ambito pubblico.
Anche la Commissione europea ha dato il via alla nuova Open source software strategy 2020-2023 (riassunta con l’espressione “Think Open”), con la quale intende incoraggiare e sfruttare il potere trasformativo e innovativo dell’open source, i suoi principi e le pratiche di sviluppo, promuovendo un approccio collaborativo e interdipendente con l’obiettivo di fornire servizi europei migliori a vantaggio della società con costi sociali inferiori.
Pensare in modo aperto, trasformare, condividere, contribuire, proteggere e mantenere il controllo (“think open, transform, share, contribute, secure, stay in control”) sono i principi che collegano il tema della digitalizzazione open software con il nuovo programma europeo, di ampio respiro, Digital Strategy Europe.