Nella evidente frattura fra un ‘prima’ e un ‘dopo’ emergenza sanitaria da Covid-19, è possibile riscontrare una certa continuità storica delle discussioni relative ai temi della coesione e dei suoi opposti, ossia le disparità territoriali e le disuguaglianze. Tuttavia anche questa dimensione di analisi sembra aver subìto gli effetti del prima e del post Covid-19, con una forte accelerazione dell’attenzione sull’urgenza degli interventi e la qualità degli strumenti a disposizione. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicare questo approfondimento al tema, partendo da un recente studio della London School of Economics (“Instituzions and the fortunes of territories”, Marzo 2020).
Già nel 2016 alcune ricerche, riportate da The Economist in un articolo del 17 dicembre dello stesso anno, evidenziavano che le crescenti disuguaglianze nazionali e subnazionali stavano assumendo dimensioni estremamente significative e pericolose per essere ignorate. Un dibattito che contribuiva ad alimentare ancora di più quelle diverse vedute sulla stessa politica di coesione, ritenuta, a ragione, la più grande politica di sviluppo del mondo, ma al contempo fortemente dibattuta fra chi ne evidenzia da sempre i benefìci, soprattutto per le aree meno sviluppate, e chi, invece, ne contesta gli effetti positivi o, comunque, una capacità di impatto ben al di sotto delle aspettative.
In realtà, come rileva lo studio della London School of Economics condotto dal professor Andrés Rodríguez-Pose, l’analisi di questa contrapposizione ha radici ben più lontane e non può essere affidata alla sola politica di coesione. Come si legge nella ricerca, “le divergenze negli effetti che si verificano sui territori sono uno dei principali dilemmi che le odierne scienze sociali devono affrontare: perché regioni o città molto simili fra loro a volte si comportano in modo completamente diverso? O, in altre parole, quali sono i fattori chiave che influenzano le fortune economiche dei territori?”
Per comprendere questi elementi lo studio muove dalla definizione di un problema di fondo connesso al quadro teorico disponibile. “Nel complesso – si legge – la combinazione di capitale fisico, capitale umano e tecnologia spiega solo in parte le disparità dello sviluppo regionale e urbano. Così, teorie che due decenni fa spiegavano bene queste divergenze, oggi presentano alcuni fattori critici”. In altre parole, nonostante una maggiore disponibilità di dati e un certo affinamento metodologico e del quadro teorico, oggi si è meno in grado di spiegare i fattori che determinano la fortuna di regioni e città.
Questa ridotta capacità esplicativa ha portato molti studiosi a cercare ulteriori fattori in grado di incidere sullo sviluppo economico dei territori. In questo senso l’attenzione si è soffermata sul ruolo delle istituzioni e la qualità di governo, fattori ormai ritenuti rilevanti rispetto a quelli più tradizionali di tipo geografico o commerciale e su cui, nonostante le difficoltà di analisi, si registra una certa convergenza della comunità scientifica internazionale.
Più specificamente è ormai condiviso che la qualità istituzionale determina la capacità delle regioni e delle città di competere in un mondo economicamente integrato: le condizioni istituzionali locali determinano effetti diretti, come la qualità delle risposte ambientali alle sfide climatiche e la capacità di partecipazione civica alla vita pubblica, ma anche effetti indiretti, incidendo sulla qualità delle altre politiche pubbliche.
Se tale scenario guarda alle istituzioni come una determinante dello sviluppo, lo studio della London School of Economics prova a fare un passo in avanti, ponendo al centro dell’attenzione non tanto il peso del fattore istituzionale nell’economia dello sviluppo, quanto le modalità in cui i fattori istituzionali (formali ed informali) incidono sullo sviluppo economico e sociale di città e regioni.
Come spiega lo studio analizzato, anche sulla base dei dati disponibili a livello internazionale e della letteratura storica in materia, la qualità istituzionale, di fatti, non può più essere considerata un fattore statico generato dalla sedimentazione storica, come accade ancora oggi in alcune analisi dei divari Nord-Sud in Italia. Si tratta di abbracciare una nuova visione secondo cui la qualità istituzionale non rimane sempre ferma, ma può mutare anche repentinamente. Le sfide che attendono l’Italia del post-Covid-19 saranno, con buona probabilità, un banco di prova gigantesco in questo senso.
Per tale motivo, secondo i ricercatori londinesi, è sempre più importante comprendere i meccanismi di trasmissione attraverso i quali le istituzioni incidono sui risultati economici, anche per sviluppare raccomandazioni politiche valide per i necessari interventi istituzionali su scala urbana e regionale.
Già in passato abbiamo avuto modo di approfondire i principali indicatori di riferimento e anche le metodologie innovative messe in campo a livello europeo per misurare la qualità istituzionale. Oggi risulta altrettanto interessante vedere come i miglioramenti della comprensione del rapporto fra istituzioni e divergenze economiche dei territori sia riconducibile a quattro principali aree di analisi:
- le dinamiche del cambiamento istituzionale.
La misura con cui il cambiamento istituzionale influenza le prestazioni economiche territoriali, non solo a livello nazionale ma anche a livello subnazionale, va analizzata non più in modo statico, ma differenziando spazi e tempi, senza pretese di uniformità territoriali anche all’interno delle stesse città o regioni; - il rapporto fra istituzioni formali ed informali rispetto alle dinamiche di sviluppo economico.
In questo senso, nonostante la loro grande capacità di impattare e determinare lo sviluppo economico, le istituzioni informali sono ancora poco conosciute e analizzate. In altri termini quegli aspetti della vita di gruppo come norme, valori, capitale sociale, fiducia, tradizioni, contatti interpersonali, relazioni e reti informali sembrano avere oggi un peso specifico rilevantissimo sulle dinamiche dello sviluppo e, come recentemente si è affermato da più parti, anche sul benessere e la salute delle comunità. Diversi livelli locali di fiducia, apertura, tolleranza o altro, sembrano avere un valore predominante sulla qualità del sistema economico, sulla sua capacità di innovazione, creatività e produttività; - i meccanismi istituzionali dello sviluppo economico.
Senza essere in grado di comprendere come funzionano le istituzioni e quali siano le complessità che le caratterizzano, è molto difficile affermare che la qualità istituzionale è una determinante fondamentale dello sviluppo. Le modalità con cui vengono prodotte, riprodotte o modificate le istituzioni nel tempo, così come le modalità con cui queste istituzioni esercitano la loro influenza sulla vita economica delle diverse aree territoriali è ormai un elemento imprescindibile per disegnare buone politiche pubbliche di sviluppo. Recentemente molte città e aree territoriali sono state soggette a forti cambiamenti a causa del cambio di paradigma tecnologico, ma anche più semplicemente allo spostamento di basi industriali, a modelli più pervasivi di spostamento di merci e persone o a gradi diversi di urbanizzazione. Gran parte della resilienza di queste città dipende dai propri sistemi istituzionali; - integrazione delle istituzioni nelle politiche di sviluppo.
Fra tutte, questa sembra essere la maggiore carenza del momento. Non è raro che i decision maker non condividano con i policy maker o con gli analisti la rilevanza della dimensione istituzionale nello sviluppo economico. Ne conseguono politiche spesso prive di integrazione fra le due dimensioni. Come si evidenzia nello studio analizzato, numerosi rappresentanti delle organizzazioni internazionali interpellati durante l’attività di ricerca hanno sottolineato “la necessità di conoscere le implicazioni politiche delle differenze istituzionali e in che modo tali differenze potrebbero essere connesse ad interventi e politiche concrete”.
Per concludere è possibile sostenere che, secondo quanto rilevato dai ricercatori della London School of Economics, negli ultimi cinque o sei decenni l’economia, la scienza e la geografia regionale hanno reso cruciali metodi teorici, progressi logici ed empirici nel percorso verso la comprensione di ciò che determina le mutevoli fortune economiche di regioni e città. In questo quadro le istituzioni sono state spesso trascurate perché difficili da definire e misurare. Oggi, però, risulta sempre più chiaro che nessuna politica di sviluppo dovrebbe trascurare la dimensione istituzionale. Ciò implica che gli studiosi devono fornire chiari consigli su come introdurre criteri istituzionali di intervento nelle politiche di sviluppo. Al contempo, nel post emergenza, sarà ancora più rilevante comprendere come evolverà quel principio di integrazione della dimensione economica mondiale che tanto peso ha assunto fino a pochi giorni fa sulla capacità competitiva dei territori. In un caso o nell’altro appare evidente che la variabile istituzionale (formale ed informale) avrà un ruolo sempre maggiore nei destini di un territorio, non solo dal punto di vista degli effetti sull’economia dello sviluppo, ma anche sulla misura del benessere sociale, oltre che individuale.
Per questo, come si legge nello studio analizzato, trascurare la dimensione istituzionale locale di una politica di sviluppo è una delle maggiori cause di quelle che vengono definite “strategie di spreco”, ovvero la realizzazione di interventi che dopo effetti positivi di breve termine, lasciano il territorio in una condizione simile o peggiore di prima. Introdurre, invece, la dimensione istituzionale nelle politiche di sviluppo significa trasformare le “strategie di spreco” in “strategie di guadagno”, ossia in interventi che possono produrre risultati più sostenibili nel medio-lungo periodo e generare valore aggiunto anche nella capacità di affrontare al meglio i temi della coesione e delle disuguaglianze.