Marina Conte parla della morte del figlio Marco Vannini e non solamente. Una madre che porta un dolore incredibile ma con grande forza.
Sono passati dieci anni, ma a casa di Marco Vannini tutto sembra accaduto ieri. Non si tratta di ricordi, è il presente di quella sera che torna, ogni giorno, e sarà sempre così. Parlare con Marina, la madre, ci restituisce il senso di una perdita e la ribellione intima, prima ancora che visibile, di una madre che ha attraversato, insieme a Valerio, il padre, l’indicibile.

“Marco è nato l’8 aprile, quel giorno nevicava, faceva freddo. Era un segno. Era un bambino armonioso, sorrideva. Era biondissimo. Fin dai tempi dell’asilo era educato, buono, diligente. Era gioioso, vitale” dice la mamma. E in queste parole c’è già il senso di una nostalgia profondissima, il ricordo di una felicità tangibile, e sul punto di divenire infinita, fino a quando il destino, qualche anno dopo, non ha tirato la linea. In una sola notte, quella tra il 17 ed il 18 maggio di dieci anni fa.
Le parole di Marina Conte in ricordo di Marco Vannini
“Mi manca l’armonia del suo abbraccio. I suoi vent’anni con noi sono stati intesi. Ci manca molto perché eravamo uniti, lui trascorreva molto tempo con noi. Era figlio unico ed eravamo contenti di avere solo lui, per quanto ci prendeva e per come è stato centrale nella nostra vita. Era un figlio meraviglioso. Sebbene fossimo i suoi genitori non è mancata occasione, per noi, di apprendere qualcosa da lui. Anche i figlio possono consigliarci. E lui lo faceva” racconta Marina.

“Aveva qualcosa in più rispetto ai coetanei e lo comprendo ancora di più ora, quando ricordo le cose che mi diceva. Il suo desiderio fin da piccolo era quello di diventare un pilota della Frecce Tricolori. Mi piace pensare che ci sarebbe riuscito a realizzare quel sogno, lo avrebbe reso davvero felice”.
Marina parla, e mentre l’ascolti ti colpisce questa costante volontà di dare un senso ad ogni cosa, di non arrendersi dinanzi all’assurdo alle prove più sciagurate a cui la vita può chiamarci “Marco era ambizioso e leale – dice – quasi troppo leale, direi. Era troppo giusto. Non so come si sarebbe trovato nell’affrontare la vita, per come è diventata. Penso che lui era troppo per questa Terra. Il suo è stato un passaggio, un passaggio per lasciare qualcosa, una sua impronta. E credo che Marco ci sia riuscito. Per noi è stato un orgoglio, e lo sarà sempre. Per i ragazzi spero sia d’insegnamento a non fidarsi troppo delle persone che dicono di amarti e non ti amano. Ma l’insegnamento fondamentale è quello di mettere la vita e l’umanità al primo posto nella vita”.
Un’umanità che è mancata, proprio nel momento in cui doveva entrare in scena. Ed invece è stata tenuta lontana, come fosse di troppo. Come di troppo era quell’ambulanza mandata indietro, e che avrebbe potuto salvare Marco. Nella vita di Marco c’è un prima e un dopo.

Conosce Martina e cambia tutto “Marco era cercato dagli amici, passavano le giornate insieme, qui nel muretto davanti casa – ricorda la mamma – Ma conosce Martina, ci si fidanza, e le sue abitudini cambiano. Gli amici continuano a venire, ma lui non si ferma più, deve andare da lei. Quando torna lei lo chiama, capisce che si è fermato a parlare con loro e allora lo chiama al telefono di casa, per farlo allontanare. Quindi a 17 anni si è chiuso a riccio con lei. Un giorno le dissi che l’avrei aiutato a trovare una scusa, se una volta avesse voluto uscire con gli amici. E lui mi chiede: ma tu lo faresti a papà? Perfino alla gita dell’ultimo anno, a Praga, rinunciò ad andare perché sarebbe dovuto stare tre giorni fuori senza lei. Aveva lasciato tutto. Gli amici e le amiche soffrivano questa sua assenza, ma non c’era nulla da fare. Non poteva andare da nessuna parte senza Martina”
Marina ricorda con lucidità ed esattezza le ore di quella notte, dalla chiamata di Marco che diceva sarebbe rimasto a dormire dai Ciontoli alle telefonata della madre di Martina, di notte, che racconta di un incidente in casa. Lì inizia la notte infinita: la corsa al pronto soccorso, le mezze verità e la corsa al Gemelli dove Marco sarebbe dovuto giungere con l’eliambulanza ma non arriverà mai. E loro, il padre e la madre che capiscono. Prima Valerio, che si sente male sulla via del ritorno verso Ladispoli.
Dopo lei, la mamma, che tornata al pronto soccorso sente la sorella gridare. E comprende “Non so come possano vivere con questo rimorso” dice la mamma, pensando al terribile ritardo con cui la famiglia Ciontoli si decise a chiamare l’ambulanza. Un tempo infinito, 110 minuti che furono fatali al figlio “Mio figlio ha perso un litro e mezzo di sangue, ha detto il perito. E in quella casa il sangue non c’era” dice la mamma.

Ed ecco che la mamma non può fare a meno di pensare a Martina, che arriva al pronto soccorso dove Marco stava morendo, mezz’ora dopo. E non può dimenticare le grida del figlio, le grida strazianti che la famiglia Ciontoli ha negato “Hanno anteposto i loro interessi alla vita di Marco. Mio figlio era solo un problema, per loro. Mi chiedo se Martina ci pensa che Marco l’altro giorno avrebbe compiuto trent’anni. A lei abbiamo voluto un bene dell’anima. Mi domando se pensa a noi, a quello che stiamo vivendo e che dovremo continuare a vivere fino alla fine dei nostri giorno. Martina da quel giorno non ha più alzato lo sguardo su di me. E ora ha un fidanzato” dice Marina.
E osservi questa donna, un nodo stretto di dolore, intelligenza e dolcezza e preghi venga infine il momento in cui lei e Valerio alzeranno lo sguardo e finalmente torneeranno ad osservare il viso meraviglioso che hanno perso quella notte. Non per sempre, se non siamo su questa Terra per caso. Marco non è passato invano.