Finalmente una nuova categoria di donne potrebbe ricevere un bonus dal valore di 3.000€: troppe erano rimaste escluse, ora cambia tutto.
Correva l’anno 2024, quando la notizia del bonus donne – o meglio, bonus mamme – fece parecchio rumore. Si trattava di uno sgravio contributivo pensato per alleggerire il peso fiscale delle madri lavoratrici, con l’obiettivo dichiarato di far salire (almeno un po’) la busta paga. Un obiettivo onorevole, che ha aiutato tante donne, ma ne ha escluse altrettante. Il bonus, infatti, era riservato solo a chi aveva un contratto a tempo indeterminato e almeno due figli.

Poi finì l’anno, e anche il bonus non venne prorogato. Forse con l’idea del ‘o tutte o nessuna’. Ma qualche mese dopo, con la Legge di Bilancio 2025, è arrivato un nuovo esonero contributivo – parziale questa volta – ancora destinato alle madri lavoratrici, ma con alcune importanti differenze.
Il requisito dei figli è rimasto lo stesso, ma è cambiato quello dei contratti. Lo sgravio è stato esteso anche alle autonome (escluse però quelle in regime forfettario) e alle lavoratrici con contratti a tempo determinato, a patto che il reddito non superi i 40.000€ annui, e sempre fino al decimo anno di età del figlio più piccolo. Insomma, piccoli passi avanti. Ma ancora troppe donne sono rimaste escluse. Ora però, grazie a una battaglia legale destinata ad allargarsi, molte altre potrebbero finalmente ottenere ciò che finora è stato loro negato.
Il bonus donne si estende: fino a 3.000€ l’anno di esonero contributivo
Potremmo essere davvero a un punto di svolta. Il bonus da 3.000€ l’anno pensato per le lavoratrici madri – fino a ieri destinato solo a chi aveva un contratto a tempo indeterminato – potrebbe finalmente essere riconosciuto anche alle precarie della scuola. E a dirlo non sono solo i tribunali, ma ora entra in campo anche la Corte Costituzionale, che il prossimo 11 giugno discuterà il ricorso sull’incostituzionalità dell’esclusione delle supplenti.

La misura, pensata per le dipendenti a tempo indeterminato con almeno due figli, ha lasciato fuori migliaia di donne, soprattutto nel settore scolastico. A portare la questione fino alla Consulta è stato il sindacato Anief, che ha ottenuto l’ammissione del proprio intervento legale. Nel frattempo, diversi tribunali del lavoro – da Lodi a Torino, fino a Catania – hanno già dato ragione alle lavoratrici escluse, applicando le norme europee sulla parità di trattamento.
Secondo i giudici, non c’è alcuna giustificazione oggettiva per discriminare chi ha un contratto a termine. La direttiva UE 1999/70 è chiara: stesso lavoro, stessi diritti. E nella scuola, dove l’80% del personale è donna, questa esclusione pesa ancora di più.
Il rischio per lo Stato? Che ogni lavoratrice con figli, assunta a tempo determinato, possa fare ricorso e ottenere lo sgravio contributivo. Una valanga legale che costringerebbe comunque a riconoscere il diritto. Meglio, a questo punto, intervenire prima, estendendo la misura a tutte le madri, senza più distinzioni contrattuali.